La rivoluzione green & digital della Fashion Industry per la riduzione dell'impatto ambientale del settore.
News del 23-10-2020
Il clima cambia, di continuo e velocemente. Le risorse primarie sono in esaurimento. Queste sono le drastiche conseguenze della perdurata mancanza di attenzione che tutti noi, specie le aziende, abbiamo avuto nei confronti dell’ambiente e dell’ecosistema. È arrivato il momento di intervenire; di procedere verso la realizzazione di progetti che per alcuni erano già stati avviati prima della pandemia di Covid-19 e su cui ora bisogna accelerare.
Pioniera di una grande rivoluzione, l’industria della moda – che da sola vale 2,5 migliaia di miliardi di dollari in tutto il mondo – sta avviando una grande trasformazione. Le aziende cominciano a definire strategie volte a soddisfare la domanda di un cliente che è più esigente; disposto a sostenere un costo maggiore pur di acquistare responsabilmente e di fare qualcosa per il bene dell’ambiente.
Cambiano i canali di distribuzione, dall’e-commerce ai social network. Cresce il numero di chi acquista online, magari dopo aver sbirciato lo showroom virtuale e recandosi comunque sempre meno presso i negozi fisici.
Aumenta anche l’attenzione delle imprese verso il packaging; alla ricerca di materiali a basso impatto ambientale, capaci di rispecchiare e soddisfare il concept del brand e i valori dell’acquirente.
La rivoluzione green parte dalla nascita di nuove esigenze e si manifesta mediante l’adozione di modelli slow fashion e di tecniche produttive sostenibili e innovative, al fine di ridurre l’impatto ambientale e rendere la sostenibilità la chiave del successo.
A livello globale, l’industria della moda è la seconda al mondo, sia per inquinamento atmosferico che per impatto ambientale. Un posto sul podio che il settore si è garantito mediante tristi scenari che in pochi conoscono. Quali?
Il 72% dell’abbigliamento è composto da fibre sintetiche (come poliestere e nylon), la cui produzione genera ossido di azoto, uno dei gas serra più nocivi.
La produzione di capi di abbigliamento richiede enormi quantità di petrolio grezzo, carbone e combustibili fossili, sia per produrre fibre sintetiche, sia per alimentare le fabbriche tessili.
Secondo uno studio di Global Fashion Agenda, il 10% delle emissioni di anidride carbonica rilasciate in atmosfera derivano dal fashion; un valore che entro il 2030 è destinato ad aumentare. Un 10% che si traduce in 3,4 milioni di tonnellate di CO2, ai quali bisogna aggiungere: 1.074 milioni di kWh di elettricità, dai 6 ai 9 milioni di acqua e 6 milioni di tonnellate di prodotti chimici.
Il rapporto “A New Textile Economy” evidenza che solo il 13% dei rifiuti prodotti vengono riciclati. Inoltre, molti siti di produzione sono collocati in paesi sottosviluppati, sui quali si riversano ulteriori fattori negativi: la scarsa attenzione alla tutela ambientale, alla salute, alla sicurezza e ai diritti economici dei lavoratori.
Fast fashion equivale a: produzione massiccia e a basso costo. Un modello di business che spinge le imprese che lo adottano a produrre e smerciare rapidamente; ad offrire capi sempre nuovi perché realizzati secondo più collezioni che si accavallano nel corso di singole stagioni dell’anno.
Il fenomeno fast fashion si è sviluppato circa venti anni fa, ma che effetti ha avuto sui consumatori, sull’ambiente e sui lavoratori?
Le vendite di abbigliamento sono aumentate del 400%, con una media di acquisto pari a + 60% per ogni persona.
La produzione è aumentata in maniera esponenziale, caratterizzata spesso da scarse condizioni di lavoro e bassi salari per i dipendenti coinvolti.
Inoltre, trattandosi di una tendenza soggetta a un continuo rinnovamento, la produzione tende a divenire presto un rifiuto. Il rapporto 2020 di McKinsey “The State of the Fashion” mostra che nel 40% dei casi i capi vengono indossati meno di dieci volte prima di essere gettati via.
Slow fashion è, invece, l’esatto contrario del fast fashion. Un modello di business che si distingue per la lentezza e non per la rapidità. Un modello che spinge i brand ad offrire collezioni ridotte e capi unici perché selezionatissimi. Tessuti e colori vengono scelti secondo standard di basso impatto ambientale.
Insomma, un modello che permette alle aziende di: distinguersi nel mercato puntando sulla sostenibilità, di aumentare i margini di profitto e di contribuire alla riduzione degli sprechi, sia di risorse che di rifiuti.
Un po’ come in una scatola cinese: per ridurre e/o azzerare bisogna prima misurare, e per misurare l’impatto della produzione è necessario conoscere nel dettaglio ogni parte della catena di fornitura.
Servendosi di misurazioni scientifiche e seguendo protocolli molto rigidi, enti esperti supportano le aziende nella quantificazione delle emissioni e nel conseguimento delle relative certificazioni.
Individuate le anomalie, bisogna intervenire con azioni specifiche per migliorare le note dolenti del processo produttivo; quindi, con i dati alla mano, si procede mettendo in atto tutte le azioni migliorative suggerite dall’ente esperto.
La quantità di emissioni restanti potrà poi essere compensata mediante la partecipazione a progetti di compensazione. Scelto il partner e valutato l’investimento da fare, l’azienda riceverà la certificazione delle quantità di CO2 compensate.
C’è chi sceglie di ridurre le emissioni di CO2 prodotte e chi opta solo per la compensazione acquistando crediti di CO2. Comunque, ad oggi, questi risultano essere gli unici processi capaci di consentire all’azienda di raggiungere l’obiettivo zero emissioni, perché – sebbene possa essere ottimizzato – un processo produttivo ha ed avrà sempre un minimo di impatto ambientale.
L’impresa che vuole abbassare, limitare o azzerare le proprie emissioni di CO2 deve:
1. Ridurre l’impatto ambientale delle proprie attività e contenere i consumi
2. Ideare capi e prodotti che – e per le materie prime impiegate e per i metodi di lavorazione – diminuiscano l’impatto ambientale
3. Utilizzare imballaggi sostenibili e riciclabili
4. Conseguire certificazioni ambientali utili, anche per agevolare la vendita online dei prodotti sui marketplace
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