Definizione, caratteristiche, differenze e limiti dell’idrogeno in relazione alla transizione ecologica dell’economia europea.
News del 19-01-2021
Le recenti sperimentazioni e gli studi che interessano l’idrogeno e il suo impiego nei settori industriali e nella mobilità portano i soggetti attenti alla sostenibilità ambientale ad acquisire più informazioni a riguardo.
Può l’idrogeno favorire il raggiungimento degli obiettivi di carbon neutrality e carbon free? Scopriamolo.
Esistono opinioni differenti su questo tema: c’è chi sottolinea i limiti dell’idrogeno e chi ne esalta le potenzialità in virtù della de-carbonizzazione di specifici settori industriali.
La Commissione Europea appoggia l’uso dell’idrogeno quale vettore di energia e di calore. Con la strategia europea sull’idrogeno, l’ente punta ad aumentare il suo peso nel mix energetico europeo dall’attuale 2% al 13-14% e all’installazione di 40 GW di elettrolizzatori nel territorio UE entro il 2030.
Alcuni paesi membri hanno scelto di introdurre la produzione di idrogeno nei piani nazionali, tra cui Germania e Portogallo. Inoltre, nel mondo, continuano a nascere importanti progetti di ricerca e sviluppo volti alla realizzazione di infrastrutture per l’immagazzinamento e il trasporto dell’idrogeno; azioni che ne favorirebbero l’uso nella mobilità e non solo.
Ad ogni modo, per capire se l’idrogeno possa davvero sostituire i combustibili fossili, bisogna tener ben presenti due concetti:
La terra è ricca di idrogeno, anche se è impossibile trovarlo da solo; lo si trova nell’acqua (abbinato all’ossigeno), negli idrocarburi, nei composti organici abbinato a carbonio e ossigeno.
È da queste stesse materie che dipendono i processi di produzione dell’idrogeno.
Attraverso la scomposizione delle molecole dell’acqua è possibile dividere l’idrogeno dall’ossigeno. Utilizzando un elettrolizzatore alimentato da energia rinnovabile si è in grado di produrre idrogeno pulito, il cui impiego non rilascia alcun gas nocivo in atmosfera.
Altro processo di produzione dell’idrogeno interessa, invece, i combustibili fossili. Il carbone o il metano, ad esempio, sono coinvolti in azioni di revamping da cui nasce l’idrogeno. Il 97% dell’idrogeno che oggi viene prodotto deriva proprio dall’uso “ripristinato” dei combustibili fossili.
L’idrogeno è un prodotto sicuro, non è tossico, né corrosivo, pertanto - in caso di dispersione - non provoca danni né al terreno né alle falde acquifere. Come il GPL, il metano o la benzina, l’idrogeno è un elemento infiammabile, ma a differenza loro brucia molto più velocemente, riducendo il rischio di propagazione di un eventuale incendio.
Si tratta anche di un elemento molto leggero, ecco perché è complicato trasportare e immagazzinare l’idrogeno. Una volta prodotto andrebbe immagazzinato e trasportato mediante specifiche tubazioni energetiche. In Europa ne esistono ancora poche, anche se sono in atto sperimentazioni per rendere alcune infrastrutture già esistenti adatte anche al trasporto di idrogeno. Per risolvere, invece, il problema dell’immagazzinamento servirebbero serbatoi molto grandi, capaci di conservare l’idrogeno ad una pressione alta (200-250 bar).
L’idrogeno può essere usato per produrre composti chimici, ma anche come fonte di energia e di calore. Nel primo caso, lo si trova spesso associato ad altri elementi per la produzione di ammoniaca, metanolo e anche concimi. Invece, nel secondo caso bisogna pensare all’idrogeno come un vettore di energia e calore e non come una fonte, perché necessita dell’abbinamento di combustibili fossili o di altre fonti di energia.
Il calore prodotto dall’uso dell’idrogeno può servire sia in ambito civile sia in quello industriale.
In qualità di vettore di energia elettrica, l’idrogeno potrebbe essere utilizzato nella mobilità, per alimentare auto, camion, aerei e navi. Motori a lunga percorrenza che andrebbero dotati di serbatoi non di benzina o kerosene, bensì di idrogeno.
L’impiego dell’idrogeno in specifici comparti industriali potrebbe favorire la produzione a zero emissioni di gas nocivi; è il caso del settore siderurgico. Qui l’idrogeno realizzato attraverso il processo di elettrolisi dell’acqua andrebbe a sostituire il carbone nella produzione di acciaio.
Gli stabilimenti siderurgici dovrebbero essere dotati di appositi impianti per la produzione dell’idrogeno. Ad oggi, nel mondo ne esistono già tre:
In Italia è stato siglato il primo accordo per la produzione di idrogeno nell’impianto siderurgico di Dalmine e presto potrebbe materializzarsi il progetto che interessa l’ex Ilva di Taranto.
L’idrogeno grigio e quello blu si ottengono entrambi dall’uso di combustibili fossili, quindi nascono dai cosiddetti processi di revamping. L’idrogeno grigio comporta il rilascio in atmosfera di grandi quantità di CO2 (dai 6 ai 12 chili di CO2 per ogni chilo di idrogeno prodotto con gas naturale e dai 18 ai 20 chili di CO2 per ogni chilo di idrogeno prodotto tramite gassificazione del gas naturale).
Se anziché essere liberata, l’anidride carbonica prodotta viene catturata attraverso processi di Carbon Capture and Sequestration (CCS) e re-immessa (ad esempio nei giacimenti da cui viene estratto il metano) la materia prodotta prende il nome di idrogeno blu.
Quando si parla della transizione ecologica dell’economia europea grazie all’uso dell’idrogeno, certo è che non ci si riferisce all’uso né di idrogeno grigio, né di quello blu. È l’idrogeno verde, il protagonista di questa possibile evoluzione. Esso viene estratto dall’acqua e prodotto con l’uso di energia rinnovabile (eolica o solare). L’idrogeno viola, invece, nasce sempre dalla scomposizione dell’acqua, ma viene prodotto attraverso l’uso di energia nucleare.
L’idrogeno verde è l’unica tipologia di idrogeno ad avere un reale potenziale per l’economia globale, dato che il suo impiego in più settori industriali favorirebbe il raggiungimento degli obiettivi emissioni zero del 2050.
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